Nel cinema di Matteo Garrone, il viaggio ha sempre avuto un ruolo fondamentale: dai mondi fiabeschi di Il racconto dei racconti alle periferie degradate di Dogman, fino alla rivisitazione del mito di Pinocchio. Con “Io Capitano”, il regista romano affronta il viaggio più drammatico e contemporaneo possibile: quello dei migranti africani che attraversano il Sahara e il Mediterraneo in cerca di un futuro migliore.
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, dove ha vinto il Leone d’Argento per la Miglior Regia, il film si è imposto come uno dei racconti più potenti e viscerali sull’immigrazione mai realizzati, grazie a una narrazione intensa, una regia immersiva e una prospettiva nuova: quella dei migranti stessi.
Un’odissea contemporanea attraverso gli occhi di chi parte
Io Capitano segue la storia di Seydou e Moussa, due adolescenti senegalesi che sognano l’Europa come una terra di opportunità e libertà. Lontani dall’immagine stereotipata del migrante in fuga da guerre o persecuzioni, i due protagonisti partono con l’entusiasmo di chi cerca una possibilità di riscatto, spinti da un sogno ingenuo che si scontra presto con la brutale realtà del viaggio.
Dakar, la loro città natale, rappresenta il punto di partenza di questa odissea moderna. Lungo il cammino, Seydou e Moussa attraversano il deserto del Sahara, cadono nelle mani di trafficanti di uomini in Libia e si ritrovano catapultati in un incubo fatto di violenze, privazioni e pericoli inimmaginabili. La loro amicizia e il loro spirito di sopravvivenza sono l’unica risorsa che permette loro di andare avanti.
Seydou, interpretato dall’esordiente Seydou Sarr, è il cuore pulsante del film. La sua trasformazione da ragazzino spensierato a leader di un gruppo di disperati che tentano la traversata del Mediterraneo è raccontata con straordinaria intensità emotiva. Non è un eroe classico, ma un giovane che si trova costretto a diventare adulto troppo in fretta, trovandosi a guidare un barcone carico di vite umane, diventando, suo malgrado, “capitano”.
Il mito di Ulisse e l’epica del viaggio
Garrone costruisce Io Capitano come un’odissea moderna, un viaggio iniziatico che richiama il mito di Ulisse. Il deserto diventa un mare di sabbia, i trafficanti sono i nuovi ciclopi e sirene, la prigione libica è il regno dell’Ade da cui i protagonisti cercano disperatamente di fuggire.
Come nel poema di Omero, l’Europa è l’Itaca irraggiungibile, un luogo desiderato e idealizzato che si allontana sempre di più a ogni tappa del viaggio. Ma diversamente dall’eroe greco, Seydou e Moussa non tornano a casa: il loro viaggio è una fuga in avanti, senza possibilità di ritorno.
Garrone utilizza questa struttura epica per dare dignità narrativa ai migranti, un aspetto raramente affrontato con questa potenza nel cinema occidentale. Il viaggio di Seydou e Moussa non è solo un dramma sociale, ma una vera e propria epopea, che trasforma due ragazzi qualsiasi in figure eroiche, capaci di affrontare l’inimmaginabile con coraggio e determinazione.
Una regia immersiva e un realismo ipnotico
Uno degli elementi più straordinari di Io Capitano è l’uso della macchina da presa, che segue i protagonisti in modo ravvicinato, spesso con inquadrature soggettive che mettono lo spettatore nei loro panni. Garrone evita il distacco del reportage e adotta invece un linguaggio visivo che immerge il pubblico nell’esperienza del viaggio, rendendolo partecipe del terrore e della speranza che accompagnano Seydou e Moussa.
L’uso della luce naturale, soprattutto nelle sequenze nel deserto e sul mare, amplifica il senso di realismo e sofferenza. Il Sahara è mostrato nella sua bellezza crudele, uno spazio infinito e spietato che inghiotte i migranti senza lasciare traccia. La prigione libica, invece, è un incubo claustrofobico, con toni scuri e immagini sporche, un inferno in terra dove la violenza è normalizzata.
Uno degli aspetti più toccanti è l’alternanza tra realtà e sogno: a più riprese, Seydou immagina sua madre che lo chiama, un richiamo struggente che funge da bussola morale e psicologica nel suo percorso. Garrone utilizza questi inserti onirici per sottolineare il contrasto tra l’innocenza perduta e la brutalità della realtà.
Un cast autentico e un protagonista straordinario
La scelta di affidare i ruoli principali ad attori non professionisti è una delle grandi forze del film. Seydou Sarr, scelto dopo un lungo casting in Senegal, offre una delle interpretazioni più potenti dell’anno. Il suo volto racconta più di mille parole: dagli occhi pieni di speranza delle prime scene a quelli scavati dalla paura e dalla stanchezza nel finale, la sua crescita emotiva è tangibile e profondamente commovente.
Anche Moustapha Fall, che interpreta Moussa, regala una performance di grande naturalezza. Il rapporto tra i due ragazzi è il cuore pulsante della storia, e la loro amicizia si costruisce attraverso silenzi, sguardi e piccoli gesti che raccontano più di qualsiasi dialogo.
La scelta del cast, unita alla decisione di girare in lingua wolof, l’idioma senegalese, aggiunge un ulteriore livello di autenticità al film, evitando ogni forma di occidentalizzazione e restituendo ai protagonisti la loro voce originale.
Accoglienza e impatto culturale
Presentato a Venezia, Io Capitano ha ricevuto lunghi applausi e recensioni entusiastiche, vincendo il Leone d’Argento per la Miglior Regia e il Premio Marcello Mastroianni per il Miglior Attore Emergente a Seydou Sarr. Il film è stato poi selezionato come candidato italiano agli Oscar 2024, consolidando il suo status di opera fondamentale nel dibattito sull’immigrazione.
Critici di tutto il mondo hanno elogiato la capacità di Garrone di dare volto e dignità ai migranti, trasformando una storia spesso raccontata in termini politici in un racconto profondamente umano. The Guardian lo ha definito “uno dei film più necessari e potenti degli ultimi anni”, mentre Variety ha parlato di “un’esperienza cinematografica che scuote e commuove”.
Un film che tutti dovrebbero vedere
Io Capitano è molto più di un film sull’immigrazione. È una storia universale di speranza, perdita e sopravvivenza, un’odissea contemporanea che trasforma due ragazzi in eroi tragici del nostro tempo.
Garrone firma una delle sue opere più importanti, dimostrando ancora una volta il suo talento nel raccontare storie epiche con un’intensità visiva e umana straordinaria. Il film non offre facili soluzioni né messaggi consolatori, ma ci invita a guardare negli occhi Seydou e a chiederci: cosa saremmo disposti a fare per costruirci un futuro?