Con la scomparsa di Val Kilmer, Hollywood perde una delle sue presenze più enigmatiche e intense. L’attore, scomparso a Los Angeles all’età di 65 anni, ha lasciato un segno profondo nella storia del cinema, attraversando generi e decenni con una versatilità che pochi possono vantare. La notizia della sua morte, confermata dalla figlia Mercedes Kilmer e riportata inizialmente dal New York Times, ha colpito il pubblico e l’intera industria, che oggi saluta un interprete capace di fondere carisma e fragilità, genio e tormento.
Nato nella culla dell’industria cinematografica il 31 dicembre 1959, Val Kilmer è cresciuto a Los Angeles in un contesto già permeato di arte e ambizione. Figlio di un agente immobiliare e di un ambiente che respirava cinema, ha mostrato presto una vocazione per la recitazione che lo porterà, giovanissimo, a entrare nella prestigiosa Juilliard School, dove si forma come attore drammatico. Il suo primo ruolo sul grande schermo arriva nel 1984 con Top Secret!, una parodia surreale che ne rivela sin da subito la capacità di coniugare fisicità, ironia e presenza scenica.
Il vero successo arriva però con Top Gun nel 1986, in cui Kilmer interpreta l’iconico Iceman, rivale freddo e imperturbabile di Maverick. È un personaggio che l’attore aveva inizialmente rifiutato, considerandolo poco interessante, ma che poi abbraccia e trasforma in uno dei volti simbolo degli anni ’80. Il ritorno in Top Gun: Maverick nel 2022, a quasi quarant’anni di distanza, ha avuto un sapore profondamente emotivo per il pubblico e per lo stesso Kilmer, reduce da anni segnati dalla malattia.
Negli anni Novanta, Val Kilmer raggiunge l’apice di una carriera che sembra scolpita nel mito. In The Doors di Oliver Stone si immerge totalmente nel ruolo di Jim Morrison, in un’interpretazione che sfiora il confine tra immedesimazione artistica e trasformazione personale. Kilmer non si limita a interpretare Morrison: lo incarna. Vive come lui, canta come lui, pensa come lui. Una prova d’attore che resta tra le più convincenti del cinema biografico contemporaneo.
Quasi in parallelo, offre un’altra interpretazione memorabile in Tombstone, nel ruolo del dandy malato Doc Holliday, dimostrando ancora una volta la sua capacità di esplorare personaggi ambigui e tormentati. Dietro ogni performance c’era un attore che si spingeva oltre il limite, alimentato da un desiderio quasi ossessivo di autenticità, anche a costo di entrare in conflitto con registi e colleghi.
Il 1995 segna il momento in cui indossa il mantello del Cavaliere Oscuro in Batman Forever. Un’esperienza che, nelle sue stesse parole, è stata più una prigione che un’opportunità creativa, soffocata da costumi rigidi e da un set dominato da esigenze spettacolari più che narrative. Sebbene il film sia stato un successo commerciale, Kilmer non tornerà mai più a indossare la maschera di Bruce Wayne, confermando la sua insofferenza per ruoli che non gli permettevano una reale esplorazione emotiva.
Il decennio successivo è segnato da progetti altalenanti. In Heat di Michael Mann è al fianco di mostri sacri come Robert De Niro e Al Pacino, dimostrando di saper brillare anche in contesti corali. Ma arrivano anche i fallimenti, come L’isola del dottor Moreau, girato in un clima teso e caotico, con un Marlon Brando ormai al tramonto e un set sull’orlo del collasso. Kilmer, sempre perfezionista, soffre le derive produttive ma non smette mai di mettersi alla prova.
Il colpo più duro arriva nel 2014, quando gli viene diagnosticato un cancro alla gola. Dopo diversi interventi e due tracheotomie, la sua voce cambia radicalmente, diventando un sussurro che però non spegne la sua voglia di esprimersi. Decide di raccontarsi senza filtri nel documentario Val (2021), realizzato con materiali d’archivio personali e la voce narrante del figlio Jack. Il risultato è un ritratto intimo e struggente di un artista che ha vissuto intensamente, attraversando il successo e il dolore con la stessa devozione.
Nel suo memoir I’m Your Huckleberry, pubblicato nel 2020, Val Kilmer si mette a nudo con uno stile onesto e a tratti spiazzante. Confessa errori, amori perduti, capricci e passioni. Ma soprattutto rivendica una visione dell’arte come forma di vita totale. Una carriera che, al netto delle sue contraddizioni, ha sempre rifiutato il compromesso e ha cercato nel cinema qualcosa che assomigliasse alla verità.
La sua morte per polmonite, dopo una lunga battaglia contro la malattia, chiude un percorso umano e artistico denso, segnato da una continua ricerca di senso. Val Kilmer non è stato soltanto un attore: è stato un interprete capace di dissolversi nei suoi personaggi, un uomo che ha affrontato la vita con la stessa intensità dei suoi ruoli. E, come pochi, è riuscito a lasciare un’eredità che continua a vivere nello sguardo e nella memoria di chi lo ha amato sullo schermo.